Presentazione

Graciela Ricci

Abstract


Secondo la tradizione classica e già a partire da Gorgia (s. V a.C.) e da Aristotele (s. IV a.C.) – il primo ad aver distinto il linguaggio tecnico dal linguaggio poetico – la metafora era una figura retorica tipica del discorso letterario, che racchiudeva una comparazione tacita tra due universi semantici e, attraverso un trasferimento di significati da un termine a un altro, presupponeva un utilizzo inusuale del linguaggio. In maniera sintetica, la si potrebbe definire come un’associazione dissociata. Se consultiamo lo Zingarelli (1970) ancor oggi la metafora (dal gr. metà-férein: trasportare, portare aldilà) è “una figura retorica che consiste nel trasferire a un oggetto il nome proprio di un altro secondo un rapporto di analogia”, mentre nella Treccani (1934), la metafora è “una similitudine abbreviata”, ma è anche metaforico “nelle sue origini tutto il linguaggio, come ben vide G.B. Vico, il quale, sottolineando l’aspetto intuitivo della metafora, la definì ‘una piccola favoletta’”. Per estensione, “la parola è spesso adoperata per indicare ogni maniera di parlar figurato”. In sintonia con magari un insight cognitivo che va aldilà di questioni meramente stilistiche o di somiglianze più o meno azzeccate). A partire dalle ricerche di Ricoeur (1975) sulla metafora viva, di quella di Lakoff e Johnson (1980-1990) sull’utilizzo della metafora nel linguaggio quotidiano, e di quella di Lotman (1981-85) sui sistemi modellizzanti, si aprono nuovi campi concettuali e il ruolo della metafora si allarga: essa diventa non solo ponte di congiunzione tra quotidianità e arte bensì struttura cognitiva, irradiativa e generativa dell’individuo e della specie umana nel suo insieme, in quanto parte organizzativa del pensiero, del linguaggio e della memoria creativa dell’uomo.


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DOI: http://dx.doi.org/10.13138/2037-7037/1023

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