«Questo scritto non sarà un romanzo». L’azione letteraria di Vitaliano Trevisan

Andrea Gialloreto

Abstract


Per l’autore vicentino l’atto del narrare implica un dominio assoluto della mente sulla realtà, che diviene il campo di un coerente esercizio di negazione, tradimento, divagazione; alla prova del flusso di scrittura impostato su coordinate bernhardianbeckettiane, il reale e quanto esso contiene di convenzionale si disintegrano e si ricompongono nella forma straniante del monologo consentendo alla voce che gestisce il racconto di rilevare e porre in discussione le contraddizioni della società contemporanea e del Nord-Est in particolare. In Tristissimi giardini, come in diversa misura nel romanzo Il ponte e nell’ultimo dei Grotteschi ed arabeschi, Trevisan sperimenta i canoni della nonfiction distinguendosi nettamente dalle prove analoghe date alle stampe dagli scrittori della sua generazione. In questi testi, che vivono della costante oscillazione tra presenza e assenza rispetto al mondo di un io «leggero» e traumatizzato, Trevisan percorre a piedi o in moto i paesaggi deturpati del Veneto (post)industriale intrecciando un veemente discorso sulla società contemporanea alla rimodulazione in chiave finzionale dei propri nodi biografici irrisolti. Fedele alla migliore tradizione letteraria veneta (Piovene, Parise), egli scatena le furie della sua glaciale e razionalissima visionarietà nell’invettiva e nell’anatema rispetto al degrado urbanistico, politico, morale. La sua «azione letteraria» si colloca pertanto al crocevia tra narrazione, saggio, reportage, indagine antropologica.

The act of storytelling, in the author from Vicenza, involves an absolute domain of the mind over reality. This becomes the field of a consistent exercise of denial, betrayal and divagation. By testing a writing flow set on the bernhardian-beckettian coordinates, reality and anything else conventional in it, breaks down and comes together in an alienating monologue that allows to the voice guiding the story to notice and question all the contradictions of the contemporary society, mostly in the North-East. In Tristissimi Giardini, as also on different levels in the novel Il ponte and in the latest Grotteschi ed Arabeschi, Trevisan experiments the rules of non-fiction, sharply distinguishing himself from similar attempts given to the press by writers of his generation. In these writings, that subsist through the constant waving among presence and absence of a world facing a flimsy and traumatized self existence, Trevisan crosses by foot or by bike the spoiled landscapes of the (post)industrial Venetian region intertwining a vehement speech about contemporary society and remodeling, throughout a fictional key, his own unsolved biographical knots. Faithful to the best Venetian literary tradition (Piovene, Parise), he unleashes the furies of his glacial and most rational visionary through invective and anathema regarding the urban, political and moral decay. Therefore his “literary action” places itself at the narration, essay, report and anthropological investigation crossroads.

 


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DOI: http://dx.doi.org/10.13138/2037-7037/1612

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